amara proprietà

ipoglicemia risolta con pagine alla melassa, romanzetti in tipico stile zuccheroso ed assai insipido, perchè Welsh, Ammaniti, Tawfik e Bukowski sono troppo geniali per una mente persa dietro ai bacetti ed alle happy ends, che non sa spiegarsi perchè si alza canticchiando la vie en rose in un mondo di barbe-à-papa.
che poi sia uno scudo contro l'inquietudine precaria è evidente, questo volersi avvicinare le ciglia e lasciarsi andare con le palpebre chiuse rispetto a buio che c'è fuori. non sono i nemici ben evidenti a farmi paura, è il subdolo che non so come affrontare, è quando senti di gente che si ammala e muore giorno dopo giorno, senza che nessuno possa fare nulla ed anche le pasticche che gli hai prescritto non sono servite a niente. paranoia per vivere in una casa troppo grossa, con la consapevolezza di non aver fatto niente per meritarmela e complessarmi perchè darei ragione a chiunque volesse entrare per rubarci qualcosa, anche se ho paura. una paura colpevole, senza le false sicurezze di leggi assassine che permetterebbro anche di uccidere chi varca la soglia alla ricerca di un pezzo di pane a cui, sicuramente, non ha meno diritto di me. eppure, mi trovo a sbarrare il cancello e svegliarmi di soprassalto la notte. perchè uno spazio occupato lo difenderei con le unghie e con i denti, ma la proprietà privata proprio non ce la faccio, non riesco a capire il perchè debba essere "mia". quasi cadessi nel trip di ritrovarmi davanti agli occhi qualcuno che conosco e chiederci reciprocamente "e tu che ci fai qui?".
non ho lottato per queste mura, non ho mai mosso un dito e mi sembra evidente che non riesca a sentirle mie, a pensarle in mio possesso, solo un'odiosa proprietà che, per ora, non mi appartiene neanche.
su un materasso unto e bucato, dentro un sacco a pelo, sotto una a cerchiata nera ed arancione, non ho mai avuto problemi ad addormentarmi, anche sentendo il vento che scuoteva i rami e le porte. mi trovo disarmata, ma non voglio sentirmi incoerente.
ma non annego per quello nello sciroppo di glucosio, è che, le contraddizioni mi lasciano spazio per immaginarmi vicino a qualcuno che per qualche giorno ancora è lontano da qui, due settimane non mi sono mai sembrate così lunghe, ed è per esorcizzare il timore che quelle migliaia di chilometri vengano sostituite da una ventina, senza che cambi nulla che cerco false sicurezze in libretti da quattro soldi e sorrido davanti a Wanda the Fish che mi predice, in un'ubuntu incriccata, love affairs in arrivo. so che nulla dipende dai bytes impazziti di una linux zoppicante, ma mi sembra tutto così poco razionale…


2 Responses to “amara proprietà”

  • congerie

    linus, ti devo dire in sincerità che questa volta non concordo molto…nel senso: la proprietà è proprietà sempre, pensare di “corroderla” dall’interno mi puzza un po’ come l’eliminare il sistema magari entrando in parlamento…non so se ho reso l’idea. se io mi sbatto per una vita per conquistarmi quattro mura in cui abitare, beh, alla fine quella non è proprietà, è possesso di qualcosa che mi serve per vivere, ma se, come nel mio caso, quelle stanze mi arrivano dai miei (i quali sì, si sono sbattuti per ottenerle, ma devo dire che hanno anche esagerato, ci sono locali che neanche si usano, figurati!), beh, non mi sembra più molto possesso, io ne avrei abbastanza di molti metri in meno, e poi con che diritto io ne posso godere ed altri no?

  • Linus

    Un aneddoto anarchico: Malatesta si fa un bel viaggio a Firenze per incontrare bakunin. Lo trova, suona a casa e gli apre una domestica. «Abita qui Bakunin?» e la domestica disse di sì.
    Malatesta risponde che sicuramente si è sbagliato, perché un anarchico non può avere una domestica, e se ne va…

    Esercitare la libertà delle idee solo in quegli spazi che sono lasciati al degrado ed alla speculazione dallo stato, è positivo, ma anche rischioso. Il rischio è quello della ghettizzazione più che della marginalizzazione.

    Porta la libertà dentro la proprietà, trasformala in mero possesso.
    Ci riesci?
    Si misura anche in queste soglie la dimensione della propria critica alla società in cui si vive.