mentre l’aria calda che mi accarezza il finestrino vorrebbe spingermi a spiegare le vele puntando la calandra ancora più a sud, un telefono annuncia le sbarre che calano all’orizzonte d’un pote. Io aleggio tra tazze di té, lattine di birra e torrenti di parole, prendendo il tempo seduti al sole di seguire la strada dove mi porta, svolazzo di chilometro in chilometro per atterrare in un decotto spesso e amaro. E nel frattempo, quelle divise luride pestano, strattonano, eseguono, ti ammanettano accartocciato che la tua rabbia bolla fino a cuocerti il cervello. Nemmeno me ne rendo conto subito, aprendo le finestre e fumando con un raggio di sole tra le ciglia, dell’astio che poco a poco sale accorgendomi di cosa sta succedendo. un fremito che scuote, più debolmente profondo di quello che mi faceva taggare un cassonetto di periferia con il nome di qualcuno che ora si attorciglia nella santità yoga. t’es enervée, toi aussi. e non è con rassegnazione che spero che i muri non stritolino la forza, che la rabbia che inculcano si scagli senza schegge che si riflettano all’indietro. l’azzurro del cielo al primo sguardo di palpebre non basta per spazzare la tensione che mi torce, senza ancora sapere, palpo l’angoscia che modifica il respiro. Come la capocchia di un accendino che a forza di essere sfregata prende pure fuoco, sento le scintille -sperando che non arrivino a bruciarci-. metallo fuso nelle vene, a metà tra il sobbollire e l’essere pietrificati. Amore e rabbia tutti liberi tutt@
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