la pioggia non cessa, il gocciolio delle lacrime sembra invece fermarsi.
dolcemente (pian piano si direbbe in italiano, ma preferisco un francesismo zuccherato oggi), piccole ansie passeggere sostituiscono l’angoscia diffusa. immensamente contenta di aver saputo varcare i confini spinati che io stessa mi ero creata: con la paura di far male agli altri, me ne sono fatta da sola.
chiedendo un titolo di una novella da scrivere ad un’amica riccioluta accanto al focolare scoppiettante di una masseria provenzale, lei si stupiva, tra gli ulivi e le rocce bianche, che un editore potesse chiamarsi “i legami che liberano”. Non era tanto la scelta commerciale a renderla perplessa, ma l’essenza stessa della frase le appariva così paradossale da essere messa in discussione dalla finzione di un racconto. In realtà, la fantasia non c’entra, a parte se si intenda come libertà di andare oltre gli schemi e immaginare che tutto sia possibile. Dicevo, non c’entra, perché ho sentito in prima persona, veramente, il piacere di un legame, forte e profondo, che mi permette di prendere la libertà che mi è essenziale. a lungo sono stata io stessa ad averne avuto paura, a non concedermi (nulla) per timore. E ora, che in una serata dalle sfumature psichedeliche ho stretto a me l’elettricità che sentivo scorrere, sento di aver smaltito una parte della frustante carica elettrostatica accumulata negli alberi dendritici delle sinapsi. lungi dall’aver tutto risolto, gioisco nell’aver aperto una breccia consistente nei nuvoloni grigi che assecondavo all’orizzonte. voglio stringere forte la vita, sentirne le ossa e i muscoli, ricaricarmi al calore di una fiducia multipla. Che sia, per una volta, nei giorni che devono ancora scorrere o in quella certezza di una relazione che mi accarezza e mi accompagna nel tempo.
Forse è troppo presto per sorridere, ma constato che i raggi del sole di ieri all’alba hanno brillato rosa e arancio.