al calore tutto relativo di una casetta itinerante, ascolto la neve scricchiolare.
tossisco al caldo mentre l’inchiostro si scioglie sulle mie dita e mi riposo nell’attesa di una salita che rimando con fermezza a domani. E il decidere, capitano della mia nave, le vele da spiegare non mi fa dubitare della rotta, semplicemente mi ricorda che non ci sono scialuppe, a parte le mie braccia. Ed è forse meglio capirlo ad un volante che si può dirigere piuttosto che rendersene conto dopo aver ammucchiato mattoni a quattro braccia per tutta una vita. E nel sentimento che non c’è nulla da salvare se non il godere per poi star male, delle volte ne vale la pena, come una mattina interminabile dopo una festa cullata dai sorrisi, le scosse e i colori della nottata.
mi chiedo se cedo all’amore o me ne servo come minuscole palline d’oppio da ingoiare per scacciare scorpioni e spie del liquido dei freni dai miei pensieri. mi attacco ad un telefono per scongiurare la dipendenza affettiva, non sapendo, ancora, come gestire allontanamento e vicinanza. e mi faccio torturare delicatamente dal non sapermi dire se è un sorriso o un legame in fin dei conti codificato a rassicurarmi, quando forse basterebbe dirmi che i significati delle istituzioni che vogliamo abbattere ci ritroviamo perlomeno a riempirli, modificandoli al meglio di quanto permetta lo stretto margine di manovra a disposizione nel recinto sempre più stretto dentro al quale siamo completamente liberi. ma ciò non toglie che io non sappia comunque come gestire voglie effimere che lascio marcire, stanca al solo pensiero che per loro valga la pena incrinare la forza di un sentimento che mi scalda. per paura che a causa della mia avventatezza si sbriciolino le certezze, preferisco restare nel dubbio e nel limbo dorato di ciò che non è stato. perdendomi ad immaginare sognando, senza bisogno di vedere le lacrime scorrere sulle guance. per nulla fiera di questa filosofia da coniglio, mi dico che il coraggio per ammetterla è forse una necessaria premessa, come una rincorsa all’indietro per saltare un ostacolo. e ardo di ritrovare il mio amore condiviso che sa star ad ascoltare le mie debolezze ed i miei difetti, curandomeli con pazienza per scacciare altrove la ragazzina dei forse in aria. ma potrebbe anche essere un’ammissione tranquilla di una volontà precisa di mescolare il razionale all’emozione come nel racconto di un’amica lungo le curve su un’R21. che poi anche il proteggere ha i suoi limiti ed alla fine nulla impedisce di riconsiderare alla bell’emmeglio la gerarchia delle priorità. e quindi non c’è nulla di codardo nel voler vivere facendosi del bene, anche se non è detto che farne ad altri sia poi così direttamente legato al curarsi del proprio.
e se fosse che non ho bisogno d’altro di ciò che ho e, nella mia insicurezza cronica, mi pesa come un macigno l’ammetterlo?
Foto di http://sh000rty.deviantart.com/art/Magic-267186371