mi affaccio al bianco di questi fogli, senza sapere da che punto continuare.
non so nemmeno più se sto bene o sto male (o, forse, di cicicipiana memoria, tutti e due e non so più cosa fare) talmente sono stata lontana da questi muri scrostati e solitari. Ritrovo i piccoli attimi dell’orzo che si scioglie in una scodella che tintinna, il grigio degli atrezzi imbibiti di morchia. rido con i capelli blu e non riesco neanche a pensare di dire dove andrò ad abitare. eppure mi sembra così strano essere così vicini e non essere insieme, senza neanche le alpi che ci sbarrano il cammino. cerco forse una complicità ceh va al di là del quotidiano, che lo trasformi creandolo senza fermarsi a ritagli di mondi che girano attorno. e non è che mi accontenti, anzi so quanta forza e quanto slancio mi possano dare se so non farmi bendare. perché in alternativa non so creare altro ceh giorni che scorrono aspettando la cremina sul caffé e la nota che lo accompagna. E non mi rassicura il non riuscire a leggere nemmeno una pagina, girandole con la pesantezza di una testa che pulsa. Voglio divorarli per vedere se mi portano più lontanto di quanto non faccia un serbatoio vuoto. la paura di arenarmi mi impedisce paradossalmente di avanzare mentre la marea si abbassa e inesorabilmente occorre issare le vele. aspetto un messaggio che allontani la distanza mentre sono io a doverla spezzare nella mia testa.
voglio fare creare a provare anche solo per vedere smuovere la polvere.