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topinambur

non so smettere di azzannarmi le mie unghie sfilacciate, torturandomi l’orizzonte con tortuose strade in salita. non so vedere un mezzo che mi rassereni, non c’è niente che mi faciliti il cammino, come un’auto che mette la freccia mentre allunghi il pollice sotto un acquazzone. faccio per non dover scegliere cosa dover fare, spersa nei dubbi di un’incertezza che mi corrode la leggera felicità che gonfia le vele. e ci provo pure, come mi suggeriscono, a tentare senza dare del peso e dell’importanza ad ipotesi dettagliate, per poi ritrovarmi nell’aula sbagliata, in ritardo e con tutti le occhiate di rimprovero puntate addosso. mi carico di preoccupazioni inutili e non vedo neanche quello che dovrebbe inquietarmi. costruisco rapporti falsi, fondati sulla moneta dello scambio, volendo invece saldare qualche pezza al mio patckwork di lamiere. neanche riesco a pensare al caldo bozzolo che immaginavo telefonando ai padroni di casa potenziali, talmente mi faccio ingoiare dalla paura della falsa ubiquità, dove non sei mai nel posto giusto, dove, provando a costruire cose in posti diversi, ci si ritrova con mucchi di macerie ovunque, pallet ancora intatti di mattoni macchiati dal muschio e infestati da ragnatele e convolvolo appiccicoso. devo trovare la mappa del tesoro di dove ho sotterrato l’entusiasmo semplice e svolazzante, che alla fin fine mi sembra di aver capito che è meglio aleggiare sbagliando piuttosto che farsi fissare da una puntina in una posizione perfetta. ed ho una voglia pazza di uscire dallo stagno in cui sguazzo infangata, prendere il respiro e correre al sole ad asciugarmi. ma, nel frattempo, mi trovo senza forze a voler soltanto provare a non pensare. e, senza manco riuscirci, mi rinchiudo in un labirinto circolare, in cui ritorno con ostinata persistenza a riprodurre gli stessi pensieri che mi bloccano al punto di partenza. e, traendo piccoli piaceri al non dovermi vedere confinata ad un indirizzo fisso, chiedendomi in ogni cucina in quale cassetto si nasconde il cavatappi, se ce n’è uno e non è sul tavolo, mi scontro con le rime degli assalti che mi spiegano forse il perchè non riesco a varcare la soglia delle mie voglie. e angoscio ancor più al poter perdere quello che ho, senza sentirmi felice dei momenti che, vissuti di striscio, mi sembrano piccoli ed insignificanti, ma potrebbero apparire una miniera da cui attingere mattoni e cemento. e, in ogni caso, sono gocce calde di amicizie che esistono da cui dovrei lasciarmi pervadere di più, senza mettere barriere e transenne incapace di proteggermi dalle ondate di malessere.

E, proprio mentre i raggi si allungano obliqui dietro le nuvole dell’autunno, vedo brillare topinambur lungo i fiumi, come se tutto il colore del sole si fosse reificato nei raggi di un fiore che segna, con la sua bellezza fittizia, il freddo che arriva.

 

foto di http://tinywild.deviantart.com/

Una risposta su “topinambur”

non mi capita spesso di balzare come una molla fuori dal letto, per poter condividere radio e caffé caldo, per non dirmi di aver fatto un centinaio di chilometri per niente, per illudermi di trovare la mia felicità negli occhi altrui. e sotto un cielo appiccicoso di una mezza mattina d’autunno, sento che avrei fatto meglio a restare con le palpebre abbassate tra le coperte calde, piuttosto che svegliarmi con un mal di testa tamburellante, angoscia che sale, lacrime sotto la doccia, denti che battono, fame e voglia di vomitare. faccio finta di ignorare cosa mi porta a ristagnare in giorni che non riesco a cambiare. che se pure ce la faccio a tirarmi giù dal letto all’ora giusta, né al freddo di un’alba non ancora rosa e nemmeno con lo stridere dell’uovo di mezzogiorno, che se pure riesco a lanciarmi in quelle piccole attività che saltuariamente mi provocano un piacere mal condiviso, non riesco mai a fare abbastanza per credere in quello che sto facendo. mi angoscia l’idea di lanciarmi in un lavoro che mi prenderà energia e vita perchè so che quando ci sarò dentro mi lascerò azzannare dalle ossa, la colonnina di disillusione triste che sale e rabbia per il coraggio che non s trovare per cambiare le cose. perchè non so cosa fare, ma mi impedisco di immaginare che vada diversamente. et excrucior.

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