Je rêve d’une réelle guerre idéale
Où les frères sortiraient des halls direction les halles
Et on serait bien plus de 50 000 en centre ville
A traiter la police comme une bande rivale
cd incastrato tra le grinfie di un’autoradio mi riporta su terra, nella difficoltà sormontabile di gestire un furgone su asfalto tappezzato di foglie umide, obbligandomi a non pensare alla nebbia dolce del bosco nel quale mi sono svegliata.
e oggi, non posso non amare l’indolenzimento che fa scricchiolare ogni mia fibra muscolare respirando ad ampie boccate, segno tangibile di un irreale realtà trascorsa davanti ai miei occhi e tra le mie dita. e sebbene, no, non ce ne usciamo la notte a costruire barricate infiammate dal sole dell’avvenire, sogno condiviso del tempo dell’attesa, in una serata di un autunno mite, ci limitiamo a sovvertire un quotidiano costruito dal malessere reificato di orari e griglie, di obblighi e morale prendendo piacere. piacere di abbandonare in un virtuale allontanamento fattuale gli scazzi e le costrizioni da cui ci vediamo fin troppo spesso attanagliati.
gola graffiata, pelle interna delle guance lacerata, arti anchilosati, indolenzimento diffuso, occhi che si chiudono su se stessi sono un obolo in saldo se permettono di ottenere, con il solo limite di un arco di tempo delimitato, una fiducia in se’ e una sicurezza ostentata che in tempo normale mi costerebbe così tanto da doverci fare un mutuo. invece galleggio tra luci colori suoni e carezze quasi fraterne in una naturalezza disarmante, senza nemmeno il bisogno di scansare fobie che non dovrebbero esistere nel boschetto della mia fantasia. mi risveglio con due riccioli diversi accanto nel mio letto sotto gli alberi, il fango segna le orme di azioni dimenticate e ancora ora non riesco a schiarire i vetri appannati della mia testa.
ma, vaffanculo a tutto il resto. io resto.
non sto male, ma ho voglia di star meglio, perché so che è possibile, perché l’ho già vissuto, in scaglie di tempo che si sono conficcate con precisione tra l’aorta e l’intenzione. non vado in pace quando la festa è finita perché vorrei ritrovarmi sempre, come in un onirico appuntamento, in un mare di gente con cui parlare, facendosi confidenze ma senza dare troppo importanza alla parole, avvicinarsi con piccoli gesti semplici e caldi, accarezzando capelli e orecchie, guardandosi negli occhi dalle pupille non troppo cangianti, sfogando una massa di energia volatile buttandosi nella mischia di un pogo avvolgente, avendo a disposizione sempre la buona scusa che, alla fin fine, non è colpa nostra, quasi tutto ci è permesso con il pretesto di essere posseduti da molecole, come se bastasse inondare le tubature delle città con chili di emmedi perché davvero gli stronzi cessino di essere stronzi. eppure non è così e lo sento fin troppo bene, qui a leccarmi le ferite sulle gengive, sola dietro vetri appannati a sognare mischiando fantasie e ricordi spersi. e chissà cosa e quanto dovrò aspettare…io che non voglio attendere nemmeno più un attimo su una panchina fretta en attendant Godot!