sembra quasi che mi sforzi a non voler dormire, masochistico piacere nel pensare e ricordare sguardi sans-issu che mi sfiorano le dita. e quasi fossi ritornata indietro in una notte su una spiaggia troppo pietrosa, mi perdo negli occhi e nel sorriso di uno sconosciuto che mi fa rimpicciolire con lui. per rendermi conto, all’alba, che non è servito a nulla aspettare se non farmi tendere invano nel possibile dell’adrenalina ovattata, delle carezze non ricevute, dell’ennesimo castello in aria che svanisce nelle nuvole di una nottata fresca e senza stelle. e mi chiedo se sono io che mi faccio spaventare da ciò che potrebbe essere oppure, sempre io, tratteggio immagini che mi invento senza nessuna ragione di essere. e nell’ombra di una luna di plastica fosforescente mi ferisce l’invidia che non è neanche più gelosia di parole di conforto per un malessere che, in maniera egocentricamente oggettiva, mi sembra assai meno motivato del mio. ma io non riesco a parlare, che sia accanto ad un geranio che emana l’aroma chimico di un antizanzare biologico ne’ tantomeno laddove devo varcare solchi che l’amarezza, la freddezza e la rigidità hanno graffiato in profondità come rebbi di una forchetta su una pelle tesa. nelle notti di pioggia e lucciole brillanti nonostante l’acqua sulle ali, avrei voluto averla anch’io una voce razionale a leccarmi le lacrime per niente, ma sono sempre restata sola con il mio tachimetro verde ondeggiante, con la mia insaziabile wanderung e troppo orgoglio opprimente. ma decidere e recidere, senza obbligatoriamente dover necessitare d’introspezione, mi ha fatto volere e volare. e mi rendo conto che sono stata bene, con gli occhi e la bocca spalancata davanti ad una ventata di iodio e tiglio. e, agghiacciantemente, ho riscoperto di aver la consapevolezza del vicolo stretto e sporco di sterco nel quale mi imbucavo con delle idee troppo rette e troppo vicine da chi mi è terribilmente distante. eppure sono qui, a farmi stritolare dalla noia dell’incomunicabilità se non in superficie, dal clivage incolmabile di due parti di una barricata diversa. e il peggio è che credono che io sia trasparente, mentre niente è stato così opaco come le mie lacrime adipose.
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2 risposte su “se edipo mi facesse una sega”
vengo da una notte senza lenzuola, gocce di sudore nei capelli e sulla pelle. le palpebre bruciano scure, le placche grattano ogni contatto. incredula, rileggo parole che riecheggiano tra le scritte sottocute macchiate d’inchiostro (che, all’epoca, non c’erano). « Mi piaci da sempre ». Che strana strada abbiamo percorso per ritrovarci nella stessa via? Incredibile legame fatto di sguardi e sorrisi, ma questa volta, le lunghe ciglia nere mi hanno accarezzato senza metafore. appiattisco al presente di pipe abbandonate, materasso scricchiolante e risvegli con une chioma bruna in cucina pensieri che rileggo ora radicati nei lustri. me ne vado leggera con vele ignote.
Quale sembianze prenderà, se ci sarà, la prossima puntata ?
e, a distanza di un anno, ricevo, incredula, una botta di autostima che porta ricredermi sull’inconsistenza dei miei fantasmi. per caso, con la testa pulsante per i postumi di un concerto lungo il fiume, rivedo quei due occhi che mi dicono: ti ricordi un anno fa…? e io che scrivevo di castelli di carte fasulle mi sento dire che ci aveva pensato, a me, dopo. ma drogata dall’insicurezza, mi sento che rispondo quanto sia facile parlare di notte con una polvere acida nell’esofago, sfiancati e alterati attorno ad un fuoco di stelle.
persevero diabolica nel candore…