sabato 26 maggio 2007
martes y miercoles
la strada brilla per l’asfalto bagnato, ma la pioggia non basta a portar via il caldo e le spighe di gramigna mature.
mi accoccolo nell’aria di questo maggio, aria di persone con cui condividere qualcosa.
una valigia da preparare per un settembre che sembra assai lontano, anche se le prossime settimane di esami sembrano ancor più distanti per la mia incapacità a volermi recludere. e star bene pensando a licenziarmi. e star bene ridendo di una torta al cioccolato attorno ad un boccale di vino. e star bene, discutendo di un improbabile sito internet e con il sole sulle braccia in bicicletta, toccandomi i calli sulle mani di manubrio e zappa. le ciliege si stanno arrossendo, la carne è sulla griglia e l’edera è estirpata dal terreno. fiori di zucchino croccanti nell’olio non appena raccolti, il profumo del basilico e quello del gelsomino non ancora sfiorito. sono contenta di questo cielo, anche se non è azzurro, di quella casa anche se non è (ancora?) la mia.
mi accoccolo nell’aria di questo maggio, aria di persone con cui condividere qualcosa.
una valigia da preparare per un settembre che sembra assai lontano, anche se le prossime settimane di esami sembrano ancor più distanti per la mia incapacità a volermi recludere. e star bene pensando a licenziarmi. e star bene ridendo di una torta al cioccolato attorno ad un boccale di vino. e star bene, discutendo di un improbabile sito internet e con il sole sulle braccia in bicicletta, toccandomi i calli sulle mani di manubrio e zappa. le ciliege si stanno arrossendo, la carne è sulla griglia e l’edera è estirpata dal terreno. fiori di zucchino croccanti nell’olio non appena raccolti, il profumo del basilico e quello del gelsomino non ancora sfiorito. sono contenta di questo cielo, anche se non è azzurro, di quella casa anche se non è (ancora?) la mia.
domenica 20 maggio 2007
uva troppo dolce
di solito, i chicchi d’uva ed i fichi maturi mi fanno respirare settembre, la pelle ancora calda dal sole d’estate. ma ora, non mi richiamo ad immagini reali di frutta succulenta addentata con piacere, piuttosto, penso ad esopo ed alla sua uva acerba. la volpe che si consola pensando che il grappolo che l’attraeva non è poi così buono, anzi, sicuramente non è ancora maturo.
seduta sull’erba fresca di un parco comunale, negli occhi la scia sfuocata delle fiamme dei giocolieri, una luce truce che colpisce il cadavere di un agnellino, capisco di averci sparso troppo zucchero sopra quel racimolo senza ancora fruttosio. e se ora mi accorgo della sua insipidità non è perchè non riesco più ad arrivarci, sfuggito tra le dita del tempo, ma semplicemente perchè mi sono armata di un panno morbido e l’ho strofinato sulle mie lenti offuscate. certo, avevo il bisogno fisiologico di sentire un po’ di dolcezza sulle papille gustative, ma, anche se non sempre consapevolmente, l’avevo capito che non era altro che edulcorante. e ora, grazie al sole che splende, cerco di scovare zucchero in abbondanza, grezzo ed autentico. e finchè non lo trovo, provo ad addentare qualsiasi polpa invitante, senza curarmi della sua composizione. prima di un inizio c’è stata una fine, ed è per questo che sorrido alle pendici di un’estate che deve ancora iniziare ed una primavera agli sgoccioli. e sorrido anche un po’ di me stessa, della mia pachidermica insicurezza con cui è più facile convivere che farla sparire. ma sono felice.
seduta sull’erba fresca di un parco comunale, negli occhi la scia sfuocata delle fiamme dei giocolieri, una luce truce che colpisce il cadavere di un agnellino, capisco di averci sparso troppo zucchero sopra quel racimolo senza ancora fruttosio. e se ora mi accorgo della sua insipidità non è perchè non riesco più ad arrivarci, sfuggito tra le dita del tempo, ma semplicemente perchè mi sono armata di un panno morbido e l’ho strofinato sulle mie lenti offuscate. certo, avevo il bisogno fisiologico di sentire un po’ di dolcezza sulle papille gustative, ma, anche se non sempre consapevolmente, l’avevo capito che non era altro che edulcorante. e ora, grazie al sole che splende, cerco di scovare zucchero in abbondanza, grezzo ed autentico. e finchè non lo trovo, provo ad addentare qualsiasi polpa invitante, senza curarmi della sua composizione. prima di un inizio c’è stata una fine, ed è per questo che sorrido alle pendici di un’estate che deve ancora iniziare ed una primavera agli sgoccioli. e sorrido anche un po’ di me stessa, della mia pachidermica insicurezza con cui è più facile convivere che farla sparire. ma sono felice.
giovedì 17 maggio 2007
fiori e cioccolato
attimi di serenità anche senza i brividi umidi del contatto maschile
per raffreddare una torta la cioccolato serve il freddo, ma se n’è andato insieme a qualcun’altro
e sono rimasti i grilli e le foglie verdi, i caprifogli, le fragole e le ciliegie rubate
osservare il fumo di una sigaretta che vola via da chi non avresti mai pensato potesse chiacchierare così beatamente con te e ridere nella notte morbida e calda
voglia di preparare bagagli ma non conoscere nemmeno la meta che voglio pormi
e sbagliare, decidendo di fermarmi a cena nel posto che per sbaglio chiamo casa, arrivando a sentirmi l’astio gettato addosso da chi ha paura che me ne vada. e sarà troppo amore, ma sicuramente non mi aiuta.
il grano sta maturando, la segale già è bionda, mi chiedo perchè dovrei aver voglia di recludermi per immagazzinare centinaia di pagine ingiallite di libri di biblioteca.
ho voglia di un abbraccio, ma si avvicina l’estate e mi accontento anche solo di un bacio tutto lingua e niente testa. perchè ho uno zaino che freme in un naylon nell’armadio, ho un costume nuovo di azzurro accecante, ho qualche canotta dalla schiena scoperta che ha tanta voglia di vedere un po’ di luce, anzi, forse un po’ di buio di qualche notte calda. è la mia incapacità a programmare il futuro, a non riuscirmi ad immaginare in tailleur dietro una scrivania o con uno spumoso abito bianco da sposa innocente. perchè anche se il mio viso e i miei occhi chiari traggono in inganno, ben poche sono le leggi che rispetto.
rido e sorrido, sto bene sospesa sulle liane del glicine sfiorito. mi sto prendendo troppo tempo per pensare, ma in fondo è incredibile come vedere il cielo stellato delle tre di un mercoledì a metà settimana non mi faccia nemmeno più strano.
per raffreddare una torta la cioccolato serve il freddo, ma se n’è andato insieme a qualcun’altro
e sono rimasti i grilli e le foglie verdi, i caprifogli, le fragole e le ciliegie rubate
osservare il fumo di una sigaretta che vola via da chi non avresti mai pensato potesse chiacchierare così beatamente con te e ridere nella notte morbida e calda
voglia di preparare bagagli ma non conoscere nemmeno la meta che voglio pormi
e sbagliare, decidendo di fermarmi a cena nel posto che per sbaglio chiamo casa, arrivando a sentirmi l’astio gettato addosso da chi ha paura che me ne vada. e sarà troppo amore, ma sicuramente non mi aiuta.
il grano sta maturando, la segale già è bionda, mi chiedo perchè dovrei aver voglia di recludermi per immagazzinare centinaia di pagine ingiallite di libri di biblioteca.
ho voglia di un abbraccio, ma si avvicina l’estate e mi accontento anche solo di un bacio tutto lingua e niente testa. perchè ho uno zaino che freme in un naylon nell’armadio, ho un costume nuovo di azzurro accecante, ho qualche canotta dalla schiena scoperta che ha tanta voglia di vedere un po’ di luce, anzi, forse un po’ di buio di qualche notte calda. è la mia incapacità a programmare il futuro, a non riuscirmi ad immaginare in tailleur dietro una scrivania o con uno spumoso abito bianco da sposa innocente. perchè anche se il mio viso e i miei occhi chiari traggono in inganno, ben poche sono le leggi che rispetto.
rido e sorrido, sto bene sospesa sulle liane del glicine sfiorito. mi sto prendendo troppo tempo per pensare, ma in fondo è incredibile come vedere il cielo stellato delle tre di un mercoledì a metà settimana non mi faccia nemmeno più strano.
martedì 15 maggio 2007
house
l’italiano non aiuta e il francese neppure, il latino mi sfugge mentre solo l’inglese taglia con nettezza i confini della differenza: house non è home, così come home è ben lungi dall’essere la mia house.
restare a cena a casa dovrebbe essere la normalità forse, ma ho la fortuna che sia un’eccezione. ero stanca per orari sballati e troppo movimento, voglia di tranquillità e calma, ma ho sbagliato tutto. il posto in cui dovevo cercarle non era sicuramente qui. sempre più gabbia e prigione, magari dorata e con qualche diamante, ma anche una sola sbarra è di troppo.
e forse sono più felice così, anche se ogni tanto mi appaiono in flash le innumerevoli differenze e tutte le cose che non sanno. ma se riesco ad andarmene alle sei e trenta con i cielo azzurro e ritornarvi con l’alba qualche giorno dopo in fondo non mi posso nemmeno lamentare. perchè altrimenti avrei già riempito uno zaino ed una valigia.
restare a cena a casa dovrebbe essere la normalità forse, ma ho la fortuna che sia un’eccezione. ero stanca per orari sballati e troppo movimento, voglia di tranquillità e calma, ma ho sbagliato tutto. il posto in cui dovevo cercarle non era sicuramente qui. sempre più gabbia e prigione, magari dorata e con qualche diamante, ma anche una sola sbarra è di troppo.
e forse sono più felice così, anche se ogni tanto mi appaiono in flash le innumerevoli differenze e tutte le cose che non sanno. ma se riesco ad andarmene alle sei e trenta con i cielo azzurro e ritornarvi con l’alba qualche giorno dopo in fondo non mi posso nemmeno lamentare. perchè altrimenti avrei già riempito uno zaino ed una valigia.
giro tondo
mi rileggo e sono serena (no, niente giochi di parole)
non ho ancora esaurito la stanchezza accumulata, ma sono felice di averla raccolta
perchè non è stata da sola su un libro o una scrivania, no, piuttosto a ridere e scherzare innaffiati di vodka lemon, olive, caffè e pizza
con inaudita serietà a risentire un po’ preoccupata “che ne faremo delle camicie nere” e poi vedere davvero gli sbirri caricare e sentirmi dare dall’idiota da un digos dimmerda (che è stato puntualmente informato della sua condizione). e fuggire alla proprietà cambiandomi t-shirt nel bagno, dopo essere entrata a sgamo, grazie ad un’amica, alla fiera del libro
tirare un carrello di una spesa per una cena a cui non credo di riuscire ad andare, più assonnata di quanto posso essere su un bus svegliandomi di soprassalto solo a grido “biglietti prego”, ma è uno scherzo, per fortuna
certo, forse non è la stessa cosa che camminare 48 ore insonne in una manifestazione oceanica in compagnia di pensieri caldi e morbidi, ma nel frattempo è l’aria ad essersi scaldata e non sono mai stata così illusa da credere ciecamente in quella sofficezza.
non ho ancora esaurito la stanchezza accumulata, ma sono felice di averla raccolta
perchè non è stata da sola su un libro o una scrivania, no, piuttosto a ridere e scherzare innaffiati di vodka lemon, olive, caffè e pizza
con inaudita serietà a risentire un po’ preoccupata “che ne faremo delle camicie nere” e poi vedere davvero gli sbirri caricare e sentirmi dare dall’idiota da un digos dimmerda (che è stato puntualmente informato della sua condizione). e fuggire alla proprietà cambiandomi t-shirt nel bagno, dopo essere entrata a sgamo, grazie ad un’amica, alla fiera del libro
tirare un carrello di una spesa per una cena a cui non credo di riuscire ad andare, più assonnata di quanto posso essere su un bus svegliandomi di soprassalto solo a grido “biglietti prego”, ma è uno scherzo, per fortuna
certo, forse non è la stessa cosa che camminare 48 ore insonne in una manifestazione oceanica in compagnia di pensieri caldi e morbidi, ma nel frattempo è l’aria ad essersi scaldata e non sono mai stata così illusa da credere ciecamente in quella sofficezza.
domenica 13 maggio 2007
un po’ di muri
l’alba su un fiume, il tramonto sotto un ponte che accende le sue luci
il rosa del cielo spazzato dal vento e dall’acqua che scorre
i clacson e le auto con i fari accesi in coda per la movida
e noi da una parte a guardare tutto e reinventarcelo a suon di hamburger e verdure
sullo sfondo di spettacoli trash sento che mi manca qualcosa ma non so davvero cosa farci
e mi limito ad andarmene con una borsa di naylon in mano, oltrepassando i grumi di maghrebini che hanno finito la nottata, e guidare con un cielo troppo chiaro sulla testa, senza nessuna stella e solo brina e nebbia sui prati.
ho gli occhi stanchi e la bocca troppo asciutta, ma in fondo sono stata bene e mi spiace andarmene, perchè se penso al silenzio di qualche anno fa questi giorni sono pieni di suoni e musica.
il rosa del cielo spazzato dal vento e dall’acqua che scorre
i clacson e le auto con i fari accesi in coda per la movida
e noi da una parte a guardare tutto e reinventarcelo a suon di hamburger e verdure
sullo sfondo di spettacoli trash sento che mi manca qualcosa ma non so davvero cosa farci
e mi limito ad andarmene con una borsa di naylon in mano, oltrepassando i grumi di maghrebini che hanno finito la nottata, e guidare con un cielo troppo chiaro sulla testa, senza nessuna stella e solo brina e nebbia sui prati.
ho gli occhi stanchi e la bocca troppo asciutta, ma in fondo sono stata bene e mi spiace andarmene, perchè se penso al silenzio di qualche anno fa questi giorni sono pieni di suoni e musica.
sabato 12 maggio 2007
maggio
may
may come
diceva tanti anni fa una mia amica sperando in chissà che cosa
il caldo si respira nell’aria della notte, nella brezza di un parco che profuma d’erba tagliata
il gelsomino, che spartisce con il vapore di verdure e carne grigliata solo la serenità di una situazione, mi accompagan quando rientro
telefono seduta sul granito caldo di uno scalino lasciato al sole, mentre guardo gambe muoversi lente lungo il sentiero, sorrido, anche se forse vorrei mettermi a corrergli dietro per poi non sapere nemmeno cosa dire. del resto, anche quando me lo chiedono, non so proprio cosa rispondere.
ci vediamo!
may come
diceva tanti anni fa una mia amica sperando in chissà che cosa
il caldo si respira nell’aria della notte, nella brezza di un parco che profuma d’erba tagliata
il gelsomino, che spartisce con il vapore di verdure e carne grigliata solo la serenità di una situazione, mi accompagan quando rientro
telefono seduta sul granito caldo di uno scalino lasciato al sole, mentre guardo gambe muoversi lente lungo il sentiero, sorrido, anche se forse vorrei mettermi a corrergli dietro per poi non sapere nemmeno cosa dire. del resto, anche quando me lo chiedono, non so proprio cosa rispondere.
ci vediamo!
lunedì 7 maggio 2007
sparta
ho sempre odiato la matematica perchè non riuscivo a capirla
ora mi accorgo, in una notte limpida di luci lontane, di non capire tante altre cose senza riuscire ad odiarle…forse mi è addirittura più facile scagliarmi contro ciò che capisco fin troppo bene, banalmente il belligerante machismo di un’americanata che non può far null’altro che ridere
continuo a macinare chilometri perchè è meglio un tratto di asfalto in più che il vuoto di pareti asettiche senza un sorriso che non sia tirato e dovuto ad una battuta amara
un rum e pera che mi impedisce la conversazione su un tavolino d’acciaio pulito che per fortuna non lascia stampigliare nella mente momenti inutili
una fermata di bus alla undici di sera, navigando in un asfalto caldo, tra i volti di una città che per davvero non sta mai ferma, anche se c’è chi ruba da bastardo un cellulare ad un barbone. certo, lui non li avrebbe mai chiamati gli sbirri, ma nemmeno io che ho la pelle bianca e le gambe relativamente veloci.
ed ancora, un individuo che scavalca una staccionata, ed anche se orami l’effetto calmante di buon thc è lontano, non riesco ad impanicarmi più di quanto non faccia abitualmente.
non so più dove stare, mi alzo con un sorriso alla sei di mattina guardando il cielo dipinto di rosa ed azzurro, pedalo tra gaggie ancora fiorite e qualche altro profumo, mi ricordo della prima lucciola di un maggio sinora freddo ed umido. ma l’altro emisfero è perso tra i rimasugli di un sogno strano, che non vorrei mai si realizzasse, anche se forse sarebbe uno dei metodi per iniziare a capire qualcosa.
ora mi accorgo, in una notte limpida di luci lontane, di non capire tante altre cose senza riuscire ad odiarle…forse mi è addirittura più facile scagliarmi contro ciò che capisco fin troppo bene, banalmente il belligerante machismo di un’americanata che non può far null’altro che ridere
continuo a macinare chilometri perchè è meglio un tratto di asfalto in più che il vuoto di pareti asettiche senza un sorriso che non sia tirato e dovuto ad una battuta amara
un rum e pera che mi impedisce la conversazione su un tavolino d’acciaio pulito che per fortuna non lascia stampigliare nella mente momenti inutili
una fermata di bus alla undici di sera, navigando in un asfalto caldo, tra i volti di una città che per davvero non sta mai ferma, anche se c’è chi ruba da bastardo un cellulare ad un barbone. certo, lui non li avrebbe mai chiamati gli sbirri, ma nemmeno io che ho la pelle bianca e le gambe relativamente veloci.
ed ancora, un individuo che scavalca una staccionata, ed anche se orami l’effetto calmante di buon thc è lontano, non riesco ad impanicarmi più di quanto non faccia abitualmente.
non so più dove stare, mi alzo con un sorriso alla sei di mattina guardando il cielo dipinto di rosa ed azzurro, pedalo tra gaggie ancora fiorite e qualche altro profumo, mi ricordo della prima lucciola di un maggio sinora freddo ed umido. ma l’altro emisfero è perso tra i rimasugli di un sogno strano, che non vorrei mai si realizzasse, anche se forse sarebbe uno dei metodi per iniziare a capire qualcosa.
mercoledì 2 maggio 2007
quattro giorni
ammicco stanca allo schermo, dopo un viaggio senza tachimetro ne’ tempo tra il verde della pianura padana
un risveglio tra i fili d’erba e qualche papavero, le colline dolci davanti insieme a cascine di mattoni e legna
una tenda imbevuta in piacevoli ricordi
giro per il mercato tra fornai e bancarelle di frutta raccogliendo ciò che il consumismo butterebbe
e progetti per viaggi più o meno immaginari tra monti, frontiere e città
prosciutto, aceto balsamico ed olio per motore
un fiumiciattolo tra le oche e le spighe dove cerchiamo le terme
l’asfalto umido di pozzanghere appena create, qualche lampo e tuono, ma l’acqua è vita, anche se si ritorna a casa
con tutto ciò che mi pesa, così distante dal bene che ho vissuto, sentendomi felice e contenta
e chiedersi attorno ad un tavolo di lambrusco e pasta vegana come fare per avvicinarsi alla rivoluzione, senza stare ad aspettarla bevendo cocacola.
il tempo, al solito, si dilata ma si comprime non appena arrivo qui, non riuscendo neppure più a ricordare se un’auto di sbirri in sirena l’abbiamo bloccata ad asti o alessandria.
un risveglio tra i fili d’erba e qualche papavero, le colline dolci davanti insieme a cascine di mattoni e legna
una tenda imbevuta in piacevoli ricordi
giro per il mercato tra fornai e bancarelle di frutta raccogliendo ciò che il consumismo butterebbe
e progetti per viaggi più o meno immaginari tra monti, frontiere e città
prosciutto, aceto balsamico ed olio per motore
un fiumiciattolo tra le oche e le spighe dove cerchiamo le terme
l’asfalto umido di pozzanghere appena create, qualche lampo e tuono, ma l’acqua è vita, anche se si ritorna a casa
con tutto ciò che mi pesa, così distante dal bene che ho vissuto, sentendomi felice e contenta
e chiedersi attorno ad un tavolo di lambrusco e pasta vegana come fare per avvicinarsi alla rivoluzione, senza stare ad aspettarla bevendo cocacola.
il tempo, al solito, si dilata ma si comprime non appena arrivo qui, non riuscendo neppure più a ricordare se un’auto di sbirri in sirena l’abbiamo bloccata ad asti o alessandria.