Un raggio di sole mi scalda la spalla. Ma, finalmente, le metafore le lascio marcire: ho voglia di sudore vero a scaldarmi la fronte.
Lunghi mesi di assenza dal virtuale di questa piattaforma, non perché siano passati così lisci che non servisse nemmeno più olio tra gli ingranaggi. Solo la morchia a infangarmi le dita e a trasformare in sudicio nero tutto ciò che tocco, olio esausto come sipario di fronte al viso.

Pensavo di poter mettere nero su bianco solo quando malinconia e irrequietezza prendevano il sopravvento. Credevo, come un poeta maledetto, che il malessere facesse scrivere. Mi sono accorta, a mie spese, che il malessere segna con il nero di un inchiostro inesistente i giorni che restano bianchi, come fogli che non riescono a riempirsi. Le frasi vagheggiano, senza sapersi fermare, attanagliate dall’angoscia di vedersi fissare in una forma che non è mai quella giusta. E aleggiano, infestando con i loro fantasmi occhi, cuore e mente. In questi mesi di nuvoloni scuri ho a malapena macchiato qualche carta con lacrime sparse, riuscendo a scatti a far emergere il magma che mi rode.
A forza di provarci, di volerlo, riesco poco alla volta a respirare più dolcemente. Ad ammettere ciò che cerco, ad accantonare ciò che mi fa troppo male. Non che sia andata davvero (più) lontano, ma che vuoi, già scorgere un orizzonte non è proprio così scontato. Ho avuto paura che lo scrivere fosse terapeutico, o almeno che l’obbligo intrinseco delle frasi ordinate mi costringesse a dare un senso che non riuscivo a trovare.
Lungi dall’aver ricomposto i cocci, già due giorni senza scosse e pianti danno una tregua che spero duri.
[*] Titolo dalla canzone Curami dei CCCP