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come nella pozza d’acqua fresca si rispecchiano l’aria tersa e raggi dritti di un giorno d’estate, io mi sento specularmente opposta al cielo sgombro e alle gocce di resina dei pini che  brillano al sole. sulle foglie accartocciate dei castagni, i passi avanzano con il sudore che gocciola sul petto incapaci  di riempirmi di una leggerezza a schiarire la mia mente annebbiata. e di cosa avrei bisogno tra le querce verdi, l’erica e le ginestre che non ho stando accanto ad un fuoco su cui cuoce un pasto da condividere al chiarore delle stelle? di una sferzata che mi rimetta a ricredere nelle mie mani e nei miei piedi, anche se indolenziti da vesciche da sfregamento; di un buon paio di tergicristalli che lavi via dal mio orizzonte quelle nuvole ingombranti, che se poi viene la pioggia almeno innaffia l’orto; di scuotermi fino a far uscire quei brividi di freddo sotto il sole e la boule à la gorge attraverso cui percepisco il mondo e deglutisco difficilmente. il piacere di gettarmi nell’acqua che scorre di un fiume tra l’artemisia, l’erba di san giovanni, i noccioli e il verbasco peloso non intacca in profondità lo scoraggiamento che si radica tra i rami verso cui potrei sporgermi per farmi un bastone da brandire. non basta ripetersi un ritornello per trovare idee nuove da cui saltare, ho paura di contaminare con i miei malesseri chi ho accanto o di vedermi trasformare in una patologia da guarire. voglio saperle trovare da me le risorse che mi servono e avere il coraggio per riuscire. ma tremo, immaginandomi scenari da cui sono tagliata fuori.

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