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splash!

Nelle pagine spesse di un vecchio taccuino rileggo, tutt’altro che tra le righe, il dilaniamento nel cuore che mi ero creata. cieca ai miei bisogni che pur esprimevo con la chiarezza della grafite incisa nelle fibre, mi sono graffiata la foga. e l’eco di quei dubbi rimbomba nell’orizzonte, facendomi tremare la mano e abbrivididendomi la schiena. ma ho imparato, a suon di lacrime e scosse nervose, che non è più facile nascondere la polvere delle paure sotto il tappeto della sicurezza di un legame che mi riscalda. forse, inconsapevolmente, lo ergo a pretesto per non guardarmi dentro con la dovuta trasparenza. mi dico che voglio farmi del bene e delle volte vorrei fermare il tempo, come durante gli esercizi di grammatica che riempivano i pomeriggi, e riflettere senza che attorno tutto si muova in un gioco di specchi cangiante. provare e riprovare, senza aver paura di sbagliare e doverci rimettere graffi, sbucciature e cicatrici. fare e disfare come nelle storie che mi racconto per riuscire ad addormentarmi, cambiando ogni sera con la facilità di un pensiero ciò che avrei voluto diverso. ma, smesso il sogno, la realtà si porta dietro tempi di inerzia drasticamente lunghi e un attrito notevole. la differenza che c’è tra il sentirsi liberi o sperduti è la stessa che si trova tra l’entusiasmo senza paura e il timore anestetizzante. priva di dicotomie, sono libera e impaurita, amo i miei taglietti che mi costruiscono cuore e cervello, detesto il rischio che mi fa dubitare di me, intravedendo che una vita di frustrazioni vale la pena perderla senza remore. e se ho scelto di lanciarmi non può essere sospesa tra l’aria e l’acqua. e se non posso ne’ volare ne’ nuotare non mi resta che tuffarmi con tutta l’adrenalina in corpo che mi scuote e mi fa inciampare.

mi chiedo se sono io che creo divergenze tra l’ipotetico ideale di cosa vorrei e la vita reale con troppe strutture da voler elucidare, a giustificazione del non poter cambiare le cose. e sebbene non basti decostruire, se sono già in difficoltà a vedermi sovvertire e plasmare le condizioni del mio reale, capisco perché io mi lamenti di non sapere ribaltare gabbie e catene.

pecco di fiducia quando devo saltare le pozzanghere, avendo dimenticato che poi, a caderci dentro, sono solo schizzi e calze bagnate. certo, si può stare a pensare al raffreddore che diventa polmonite, un osso che si incrina, ma proprio non si può restare sotto la pioggia avendo paura di varcare un lago da formiche.

 

foto di val3ria http://val3ria.deviantart.com/art/pozzanghera-49374583

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