le stelle che ghiacciano il cielo e le mie percezioni, invase dall’umido gelido di un blocco di cemento su cui irrigidirsi le natiche mentre tutto attorno frizza saltellando sul soffitto di polistirolo.
fin troppo spesso, se me ne parto a letto, è perché sono stanca di cercare di chiedere di elemosinare mendicando attimi di socialità. nessuna ecatombe di neuroni e il mio campo di visione, dietro a una seppur leggera patina alcolica, resta obiettivo e sgombro da quelle false illusioni che risaldano quella sicurezza che culla dolce fuggere con fili elasticamente male un’amaca su cui dondolarsi.
Nessuno schermo ad abbellirmi il decoro, nessun filtro ad alterarlo e l’atterraggio paradossalmente è ancora più duro se non si è nemmeno decollati; ali tarpate agitandole nel vuoto.
E se la lucidità non fosse altro che illusione mascherata da tristezza?
Ogni volta che sento freddo, mi dico credere alle mie sensazioni, alla veridicità dell’abbassarsi della temperatura, come prova l’irrigidimento degli arti e il ghiacciarsi del sangue. Quando invece un calore dolce mi scioglie al fuoco del non sentirmi sola, una mano bollente non si erge a prova, somaticamente riscaldata da un ipotalamo alterato. Eppure questo capovolgimento dicotomico che mi lascia perplessa nella sua matematicità lineare, mi porta a dire che se dietro al caldo di nascondono spifferi gelidi, dietro ai brividi di freddo singhiozzati dentro ad una solitudine che rimbomba, ci deve essere una stufetta accesa che impedisce al ghiaccio di cristallizzare (anche se non la vedo).
ps: post originariamente scritto a grafite su un fazzoletto, la sconnessione grammaticale, sintattica e lessicale è anche dovuta, in parte, alla difficoltà di interpretazione della mia calligrafia esitante.
ps2: foto di http://tinderstock.deviantart.com/