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paura del buio

talmente insicura da non essere capace ad accontentarmi dell’ordine incongruo delle mie frasi sparse e ostinarmi a concellarle, come se poi riuscissi davvero a fare meglio. troppo lento decollo, tanto da fare male come un cerotto strappato con sadica lentezza che sradica i peli uno ad uno, lasciandoli con un bulbo arrossato impregnati di colla. mi sento appiciccaticcia per essermi invischiata in una melma di sentimenti che creano dipendenza. mi spavento all’eco rimbombo del bianco fresco sui muri storti, e mi chiedo se si debba davvero considerare una conquista un vecchio materasso solitario a molle cigolanti. ce n’ho già avuto uno, motivo di fiori azzurri polverosi su cui preparare notti per giornate incerte e sconsiderate (ma quando mai sono stata meglio?). con un balzo troppo all’indietro per avanzare, mi costruisco debole come la capanna di paglia di un porcellino poco saggio, fingendo di ignorare che, senza bisogno di mescolarci l’argilla, è già una tipologia costruttiva di tutto rispetto. eppure, mi rivedo fare marcia indietro in un corridoio, bloccata dall’incoerenza delle mie posizioni tagliate con l’accetta, scorsa da brividi di freddo troppo tiepido per scuotermi. e di fronte ad una finestra che non è ancora verde, non so cosa immaginare, non sperando forse altro che riuscire a decollare.
e;nel frattempo mi rassicuro immaginando la ventolaz del pc come un respiro amico

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