lacrime e muesli a colazione, introspezione impossibile da esteriorizzare, maschera gofmaniana plasmata con pazienza che si sgretola pian piano a suon di singhiozzi tarpati. e poi, rinchiusa in questo mare marcio, guardo fuori e risale prepotente una rabbia che spazza, in una provvisorietà che nulla toglie all’impeto, elucubrazioni egotiche, che trasforma brividi in scosse.
e nella sua crudeltà atroce, tutto sembra chiaro, la questione non è la parte (evidente) della barricata da cui stare, è costruirle quelle barricate. e, con rincuorante sicurezza, posso affermare che c’è chi non se lo fa dire due volte, anche se soffro, rinchiusa a troppi chilometri, appesa al filo di onde radiofoniche.
tremo impotente, ma sbatto tasti facendo girare le rotelle ingarbugliate e mancanti di una lubrificazione efficace delle mie cervella bollenti e fumanti. ho troppe voglie che non so come gestire, irretite nelle mie paranoie lattiginose.
scarpe rotte eppur bisogna andar: un vecchio ritornello echeggia in tutta la sua attualità in questi giorni disastrati che non bastano a scoraggiarci. e come nella “mia ora di libertà“, se parto e inizio guardando nel riflesso della mia pozzangherina mi ritrovo ad allargare lo specchietto d’acqua fangosa sino ai torrenti della val susa.