In quanto a zavorra, questa volta l’ho fatta grossa.
Decidere di raggrumare vent’anni di post è come non aver mai traslocato in tutto questo tempo. È un po’ come inscatolare gli anni in uno zaino riempito come un ritorno d’esilio (e fossero solo i chili di fusilli bucati corti). Eppure, ho capito che, nonostante le agende nuove ogni anno (da bruciare per non lasciare nelle mani sbagliate, casomai), gli attimi si susseguono senza soluzione di continuità. Ho percepito nei miei bicipiti che ho traslocato una tonnellata di scatoloni in angoli di cui non ero nemmeno a conoscenza.
Ma non è una questione di scoperta, come gli avventurieri colonialisti che impiantavano bandierine potenti in contrade desolate (o credute tali). Rileggendonomi vent’anni fa, non provo la stessa tenerezza dei sessantottini diventati padroni verso loro stessi sulle barricate. Io non ho cambiato idea ne’ idee, e non so nemmeno se cambierei la punteggiatura di quello che avevo scritto. La tenerezza diventa determinazione nel veder superare quelle difficoltà dovute allo stare fuori dagli schemi. Nessuna lettura psicologizzante. Le patologie le lascio agli psichiatri (anche se forse adesso, a differenza di allora, non disdegno che un blister mi alleggerisca). Perché conosco fin troppo bene l’origine dei problemi che si mescolano tra ormoni e neuroni.
L’incazzatura anarchica di allora, non mi è mai sbollita, anche se talvolta si è un po’ arrossata. E conosco, fin dall’inizio, l’origine del problema. Forse, l’unica differenza sostanziale è che all’epoca non l’avevo ancora vissuto sulla mia pelle. Non avevo ancora conosciuto la repressione, les banquettes arrières, le lettere in carcere, il fatto di remare come in una galera romana in un mare di vuoto. Nel frattempo, mi sono trovata stritolata da relazioni di coppia patriarcali ed etero che ora sfuggo come la peste. Schiena piegata tra i filari come operaia agricola immigrata stagionale, sempre precaria. Tra occupazioni, sgomberi e padroni di casa che, anche volendo pagarli, vogliono sempre garanzie che non ho. L’unico possesso che mi sballotto, è un furgone. Casa lumaca, talvolta incagliata, come me, nel grasso e con il motore in panne.
Ma le lotte sono continuate. Tra la luna piena e i fuochi di artificio, nella gioia popolare di una vetrina di una banca che quasi viene giù, i rond points occupati, e anche contro le riforme delle pensioni e della disoccupazione “anti, anti capitaliste oh“. Certo, avendo sempre l’impressione che anche quelle rare scintille che ho potuto vedere non bastino mai per modificare in profondità le cose. E talvolta colpevolizzandomi nel non aver fatto abbastanza, immelmata nelle mie pozzanghere emozionali che venivano proprio dall’esser fuggita dalle linee rette che ho divelto.
I capitoli li decido io. Affetto il tempo secondo tranches che mi assicurano partenze nuove. Voltare pagina, non è sempre la svolta. In questo (ennesimo) periodo sbilenco ho voglia della rassicurante sicurezza del saper cos’è stato per affrontare la stabile continua incertezza. Contenta di non conoscer il domani, ho perso pure la certezza che avevo nello scrivere in una lingua con riuscivo a esprimere gli aggrovigliati e contrastanti sentimenti che mi attraversavano. Adesso, al di là di confini — che pur volendo fossero nient’altro che linee immaginarie, so dei danni che causano e le persone che uccidono tra la neve o i flutti — sono io la straniera. Sono stata spaesata nell’aver perso la mia penna italiana prima di aver conquistato, con faticosi tentativi, una prosa alloglotta, ora perfino riconosciuta. Quella parte di blog, che proprio in italiano non è, non l’ho ancora traslocato. Avevo pure pensato di ritradurre il tutto, ma per adesso, lo lascio dov’è.
Mi lenisce riconoscere che, benché io sia cresciuta, gli ormai antichi post di due decenni fa fanno parte della me attuale. E possono servire ad alleggerirmi ammirando la costanza del non avere rimorsi (nonostante gli errori). Forse non avrò costruito molto, ma è pur sempre meglio manifestare e non costruire nulla piuttosto che erigere il ponte di Messina o la TAV.